L’ex difensore della Roma, Leandro Castan, ha parlato a Radio Romanista nel corso del podcast Unico. Queste le sue parole a partire dall’arrivo nella Capitale nel 2012: “Già nella stagione precedente, quando vincemmo il campionato, mi arrivarono delle offerte dalla Russia e dalla Cina ma io volevo misurarmi in un importante campionato europeo. Non avendo ancora il passaporto però, il mio allenatore mi consigliò di restare in Brasile ancora per un po’. Presi ancora più consapevolezza dei miei mezzi e la Roma finì per notarmi. Ero emozionato all’idea di trasferirmi in un club così importante e poi per un difensore il calcio italiano è il massimo che si possa desiderare”.
Riguardo le difficoltà d’ambientamento: “Effettivamente l’impatto fu un po’ negativo. Io penavo che in Italia avrei lavorato con un tecnico molto attento alla fase difensiva ma trovai Zeman a cui non piaceva molto difendere bensì quasi esclusivamente attaccare e fare gol. Diciamo che non teneva molto in considerazione quelli del mio reparto”. Su Totti: “Ricordo ancora il nostro primo incontro: a presentarci fu Baldini. Quando gli strinsi la mano mi vennero i brividi perché non ero soltanto davanti ad un calciatore ma ad una sorta di personaggio storico. Con il tempo però Totti per me è diventato Checco, un uomo fantastico che mi ha aiutato moltissimo ed è stato un piacere conoscerlo”.
Castan: “Rudi Garcia cambiò la mia percezione”
Castan ha poi parlato della medaglia gettata dopo la finale di Coppa Italia persa con la Lazio: “Si è vero. Mi sono anche un po’ pentito perché una medaglia non si dovrebbe mai buttare nel cestino ma in quel momento ero veramente molto incazzato perché non riuscimmo a giocare come avremmo dovuto. La cosa che mi da più fastidio è non essere riusciti a fare quello che era nelle nostre corde. L’unica spiegazione è che forse avevamo affrontato una stagione molto usurante e quando arrivammo a quella gara eravamo già cotti. Loro hanno giocato con il coltello tra i denti e hanno segnato un gol bruttissimo proprio come quel derby. Mi dispiace per i tifosi e sono convinto che se avessimo giocato almeno al 10% delle nostre capacità avremmo vinto”.
E ancora: “Reazione a quella delusione? Volevo andar via. Non mi ero trovato bene con Zeman, verso cui non ho nessun risentimento ma semplicemente avevamo delle idee calcistiche diverse. Poi è vero che lui fu esonerato ed era arrivato Andreazzoli, ma era stata comunque un’annata molto brutta terminata con una sconfitta pesantissima. Avrei preferito tornare in Brasile, anche perché mancavano pochi mesi all’inizio del mondiale. Questo era quello che pensavo prima dell’arrivo di Rudi Garcia. Rudi cambiò la mia percezione e anche quella di molti del gruppo, è stato il principale artefice del nostro riscatto“.
L’ex Roma si è espresso proprio su Rudi Garcia e i suoi meriti: “Innanzitutto il suo modo di rapportarsi. Per fare un esempio, Zeman in 6 mesi mi avrà rivolto la parola due volte, lui invece cercò subito di spronarmi anche facendomi arrabbiare. Si era accorto che avevo la testa altrove e allora si rivolse a me anche con durezza. Il senso delle sue parole era che forse aveva ragione chi diceva che fossi scarso. Mi arrabbiai molto, perché mi punse nell’orgoglio ma poi capii che era un modo per togliermi dalla mia comfort zone su cui mi ero inconsciamente appiattito”.
Castan: “Cavernoma cerebrale? Il giorno in cui finirono i miei sogni”
Riguardo il cavernoma cerebrale che gli fu diagnosticato: “Quello è stato il giorno in cui finirono tutti i miei sogni. Avevo tanti progetti: andare in nazionale, disputare un mondiale e vincere dei trofei con la mia squadra. Il medico mi disse che non avrei più potuto fare il calciatore e allora pensai soltanto a rimanere vivo. Dopo la guarigione avrei voluto riprendere la mia professione ma nonostante gli sforzi, non sono mai riuscito a tornare quello di prima. Solo a pensarci mi vengono i brividi perché avevo ventisette anni ed ero nel momento più importante della mia carriera. Oltre alla mia famiglia devo ringraziare il mister Garcia, il mio procuratore Gabriele Giuffrida e il direttore Walter Sabatini che per me è stato come un papà”.
Castan ha poi parlato del post guarigione: “La forza l’ho trovata in un qualcosa che non posso vedere ma che sento continuamente che è la mia fede in Dio. Questa fede mi ha aiutato a superare momenti terribili. La prima volta che sono rientrato in campo a Trigoria, il preparatore mi passò un pallone e gli andai incontro per stopparla. Pensai al gesto che avrei dovuto fare ma non riuscii a farlo perché quando la palla mi passò vicino il mio piede non si mosse. Quel giorno andai a casa piangendo perché il corpo non rispondeva agli impulsi del mio cervello. Un giorno, grazie alla fese, saprò perché mi è capitato tutto questo. Ho indossato la maglia del Torino e del Cagliar ma anche quando mi facevano i complimenti ero comunque triste perché non mi sentivo più il Castan di un tempo”.
Il brasiliano ha poi concluso esprimendosi sulla situazione attuale della Roma e sui suoi progetti futuri: “La Roma può vincere l’Europa League, come no. Ranieri ha aggiustato questa squadra che ha delle buone individualità, alcuni giocatori mi piacciono molto. Secondo me si può fare. Cosa mi manca dell’ambiente? Lo Stadio Olimpico. Quello è il posto dove mi sono sentito più felice. Scendere in campo, ascoltare l’inno della Roma. Come fa a non mancarti una cosa del genere. Futuro? Dopo aver deciso di smettere non ho voluto più sapere niente di pallone. Poi lo scorso anno ho sentito l’esigenza di iniziare a studiare da allenatore. Quando sono andato a Rio De Janeiro e sono sceso in campo ho avuto la sensazione che il cuore fosse tornato a battere. Sto continuando a studiare e spero di riprendermi da tecnico ciò che il destino mi ha tolto da calciatore”.