Venti gennaio 2024: la Roma affronta il Verona all’Olimpico in un clima di attesa, curiosità e voglia di riscatto. In panchina c’è Daniele De Rossi, all’esordio assoluto da allenatore in Serie A. Il club ha appena voltato pagina dopo l’addio a José Mourinho, sollevato dall’incarico qualche giorno prima, e ha scelto il suo capitano storico per ripartire. Quella sera, la Roma vince 2-1 e inizia un nuovo ciclo. Che oggi, a distanza di quindici mesi, sembra già finito.
Perché il tempo, nel calcio, non perdona. E a Trigoria lo sanno bene. Della formazione titolare di quel giorno, solo quattro giocatori sono ancora in rosa: Pellegrini, Paredes, El Shaarawy e Dybala – con l’argentino però oggi fermo ai box e indisponibile per il ritorno contro i gialloblù. Tutti gli altri hanno fatto le valigie: Rui Patricio è finito all’Atalanta, Karsdorp è volato al PSV, Huijsen è tornato alla Juve prima di essere ceduto al Bournemouth, Llorente è al Betis, Spinazzola è al Napoli. Poi c’è Bove, passato alla Fiorentina, e Lukaku, tornato a Londra e poi approdato pure lui al club partenopeo.
Non è andata meglio con chi entrò a gara in corso: Kristensen oggi gioca in Bundesliga con l’Eintracht, Zalewski è all’Inter, Belotti ha scelto il Portogallo e il Benfica. Una smobilitazione quasi completa. Non tanto perché la Roma volesse rifondare, quanto perché il calcio moderno raramente concede tempo, continuità e identità stabili.
I cambiamenti in dirigenza
E infatti anche dietro le scrivanie il vento è cambiato. Quel giorno al comando delle operazioni c’era ancora Tiago Pinto, che avrebbe lasciato a fine mercato invernale, dopo aver chiuso gli acquisti di Angelino e Baldanzi. CEO della società era Lina Souloukou, dimissionaria pochi mesi dopo, nel settembre 2024, in piena bufera post-esonero di De Rossi. L’attuale direttore sportivo Ghisolfi allora era solo un nome sconosciuto ai più, lontano dal contesto italiano e ancora tutto da scoprire.