Roma, Ranieri dice no all’Italia: un rifiuto che vale più di mille parole e che nessuno può biasimare

Il popolo giallorosso si gode questo piccolo grande trionfo fuori dal campo. Perché sì, a volte dire no è la cosa più difficile da fare, ma è anche quella che ti rende più grande

Riccardo Siciliano
7 min di lettura

Gli ultimi tre giorni in casa Roma sono stati persino più turbolenti di molti passaggi critici della passata stagione. Hanno superato per tensione i 53 giorni dell’infelice gestione Juric e forse anche le settimane passate ad aspettare l’ufficialità del nuovo allenatore. Quando la tempesta sembrava essersi finalmente placata, con l’annuncio di Gian Piero Gasperini e la partenza della nuova programmazione, l’ambiente giallorosso ha rischiato di essere nuovamente travolto.

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Tutto è cominciato con l’esonero di Luciano Spalletti. Il pesante ko in Norvegia ha messo la parola fine all’avventura del tecnico di Certaldo alla guida dell’Italia. Subito, i vertici federali si sono mossi per trovare un sostituto in grado di risollevare il cammino verso i Mondiali. Il nome individuato? Quello di Claudio Ranieri, l’uomo dei miracoli, il romano che aveva appena portato la Roma dal baratro della retrocessione al quinto posto in classifica.

Per ore – forse giorni – si è temuto un epilogo amaro. Il rischio era concreto: Ranieri avrebbe potuto dire sì alla Nazionale, lasciando così la Roma proprio nel momento in cui la sua presenza sembrava diventare ancora più centrale, in veste di senior advisor del club. E per chi conosce Roma e i romanisti, questo sarebbe stato più di un semplice addio. Sarebbe stato vissuto come un piccolo tradimento da parte di uno degli ultimi simboli viventi di un certo tipo di calcio, di un certo tipo di romanismo.

Perché Ranieri per la Roma non è solo un allenatore. È un’icona. Una figura mitica che si è guadagnata un posto tra Totti, De Rossi e De Falchi nell’immaginario collettivo della Curva Sud, tanto da meritarsi una coreografia tutta sua. Un onore concesso a pochissimi. Per questo, l’idea di vederlo seduto sulla panchina della Nazionale mentre continuava a ricoprire il ruolo di consulente dei Friedkin sembrava una forzatura. Soprattutto per quello che Ranieri rappresenta, dentro e fuori dal campo.

Il doppio incarico: tentazione e rischio

La proposta della FIGC era tecnicamente legittima: un doppio ruolo, con Ranieri consulente personale della proprietà giallorossa e non direttamente tesserato con il club, così da aggirare l’articolo 40 del regolamento tecnico che vieta agli allenatori delle nazionali di essere vincolati a una società. Ma la questione non era giuridica. Era – e rimane – etica, sentimentale, politica.

Perché se Ranieri avesse convocato un giocatore romanista non al meglio? Se ne avesse ignorato un altro? Apriti cielo. Qualsiasi scelta sarebbe stata passibile di critiche, di sospetti di conflitto d’interessi. E nonostante l’integrità indiscutibile del tecnico, la polemica sarebbe stata inevitabile. E ingiusta.

La notte e il consiglio

La Federazione, convinta della disponibilità di Ranieri (perché diciamolo chiaramente, è impossibile rimanere indifferenti alla chiamata della Nazionale), ha mosso direttamente il presidente Gabriele Gravina, che ha contattato Dan Friedkin in videoconferenza. I Friedkin non hanno posto veti, anzi, hanno lasciato libertà di scelta a Ranieri, purché il doppio incarico fosse compatibile con i valori e la centralità del ruolo che Claudio stava per ricoprire nella Roma.

Ma poi è arrivata la notte. E il consiglio, come sempre. I dialoghi in famiglia, con la moglie che lo accompagna da una vita, i confronti con i collaboratori più stretti, i pensieri silenziosi sul futuro. È tornato in mente anche quel “no” ai Friedkin, quando gli fu chiesto di restare un altro anno in panchina. E soprattutto la consapevolezza che portare avanti due progetti così impegnativi in parallelo sarebbe stato impossibile.

Così, ieri mattina, è arrivato il rifiuto ufficiale. Diretto, onesto, irrevocabile: “Ringrazio il presidente Gravina per l’opportunità – ha spiegato Ranieri all’ANSAma ho deciso di restare a disposizione della Roma nel mio nuovo incarico in modo totale. I Friedkin mi hanno dato pieno supporto, ma la decisione è stata solo mia”.

Giù le mani da Ranieri

Il mondo romanista ha tirato un sospiro di sollievo. Non tanto perché la Nazionale fosse un “nemico”, quanto perché si sarebbe perso il perno del nuovo progetto societario. Ranieri, infatti, è stato già protagonista in questi giorni: nella scelta di Gasperini (ufficializzata con una foto in cui compare anche lui), nella mediazione sul rinnovo di Svilar e nella definizione della nuova struttura operativa del club.

La sua figura è quella di un garante morale e tecnico. Una persona che gode della fiducia piena della proprietà e che riesce, con la sua sola presenza, a tenere unito l’ambiente. Il suo “no” alla Nazionale, proprio per questo, è stato un atto di fedeltà assoluta.

Eppure, paradossalmente, proprio da alcuni ambienti calcistici e giornalistici, sono arrivate critiche assurde. Prima per aver riflettuto troppo, poi per aver detto no. Come se la scelta dell’Italia fosse un obbligo morale. Come se il gesto di Ranieri, in controtendenza con un calcio ormai privo di bandiere, non fosse invece un esempio.

Il futuro della Roma

Anche Gian Piero Gasperini, il nuovo allenatore della Roma, è stato tra i primi ad essere informati. Ranieri lo ha avvisato in anticipo, e Gasperini non ha nascosto la sua soddisfazione per avere al fianco un punto di riferimento così forte. D’altronde, è stato proprio Claudio a spingere per il suo arrivo. E in un ambiente spesso spaccato come quello romanista, questa continuità e coesione possono davvero fare la differenza.

I Friedkin, rafforzati da questa ennesima prova di lealtà, potrebbero decidere di ampliare ulteriormente il ruolo di Ranieri. Non più solo consulente, ma figura cardine di una Roma che vuole ricostruire partendo dai valori. La porta per il futuro resta aperta. Intanto, la Roma si gode una delle vittorie più silenziose, ma più significative della sua estate. Perché a volte dire no è il modo più autentico per dire sì.

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Nato a Roma il 22 gennaio del 2001, amante del calcio e dello sport a 360°. Laureato in Comunicazione, tecnologie e culture digitali, adesso costruisco il mio futuro sulle mie due grandi passioni.
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