Nel grigio pomeriggio del derby capitolino, la Roma ha riassunto perfettamente l’anima di questa stagione (e delle precedenti): un pareggio che vale l’imbattibilità numero 16, ma anche un’altra occasione mancata per dimostrare di poter fare il salto di qualità . Una squadra che si aggrappa ai colpi di genio di Matias Soulé e alle parate di un sempre più decisivo Mile Svilar, ma che crolla davanti alle sue fragilità ogni volta che il palcoscenico si fa importante.
Il dato è impietoso: tra i cinque pareggi ottenuti nella lunga striscia positiva, spiccano quelli contro Milan, Bologna, Napoli, Juventus e Lazio. Esattamente le partite che la Roma avrebbe dovuto vincere per dare un senso concreto alla rincorsa Champions. E invece, ha sempre mancato lo spunto, l’ultima accelerazione, la scintilla per lasciare davvero il segno.
Miraggio Champions
Il pareggio nel derby potrebbe chiuso la corsa alla Champions League, nonostante i soli cinque punti che separano i giallorossi dal quarto posto. Il calendario è spietato: dopo il Verona, ci saranno Inter, Fiorentina, Atalanta e Milan, prima del finale a Torino. Serve un miracolo. Ma soprattutto servirebbe una Roma diversa, più matura, più solida, più continua.
I numeri dicono altro. Lo dicono da anni, per la verità : 63 punti nel 2022, 63 nel 2023, 63 nel 2024. Quest’anno la Roma è ferma a 54 punti, a sei giornate dalla fine. Una media quasi identica, una costanza che però suona più come un limite che come una virtù. Cambiano gli allenatori, cambiano i giocatori, ma il risultato non cambia mai. E la Champions resta un obiettivo sempre evocato, mai davvero raggiunto da quando i Friedkin sono alla guida del club.
Scontri diretti: la vera condanna
Ma c’è un dato che grida vendetta più di ogni altro. Come riporta il Corriere dello Sport, negli ultimi quattro campionati, la Roma ha raccolto solo 47 punti su 168 disponibili negli scontri diretti contro le big. Poco più del 28%. Una condanna matematica che racconta l’incapacità cronica di essere competitiva quando conta di più. Il che, nel calcio di vertice, è un peccato capitale.