La sconfitta della Roma contro il Napoli, al netto del valore dell’avversario (nuovamente in testa alla classifica), ha messo in luce una realtà preoccupante: l’abitudine alla mediocrità e, peggio ancora, alla sconfitta. Non si tratta più solo di problemi tattici o tecnici, ma di una crisi profonda che coinvolge la mentalità e l’identità della squadra. Cinque sconfitte nelle ultime sei partite di campionato: un dato che non si spiega solo con l’avversario di turno.
Contro il Napoli, la Roma ha mostrato una reazione nervosa a tratti, ma mai una vera determinazione a cambiare il corso degli eventi e la crisi non accenna a terminare. Le prestazioni – gara con la Fiorentina esclusa – sono caratterizzate da una costante mediocrità: né completamente disastrose né davvero convincenti, come una minestra insipida che non sazia né conforta. Si gioca quasi con l’accettazione passiva che la sconfitta sia inevitabile.
L’arrivo di Claudio Ranieri, pur accompagnato da speranze di scossa, non ha ancora prodotto effetti tangibili. È vero che è difficile immaginare un immediato ribaltamento in pochi giorni, ma l’assenza di una risposta emotiva forte, spesso tipica dei cambi di guida tecnica, è un segnale preoccupante.
La partita
La sconfitta della Roma contro il Napoli, sebbene non sorprendente considerando il valore dell’avversario, lascia dietro di sé più domande che risposte. I giallorossi hanno approcciato la partita con un atteggiamento prudente, schierandosi inizialmente con un 4-5-1 che in fase di possesso diventava un 4-4-2. L’obiettivo era chiaro: limitare la squadra di Antonio Conte e sfruttare le poche occasioni concesse.
Nonostante qualche timido tentativo offensivo (un tiro alto di Pellegrini al 5’ e una conclusione centrale di Pisilli al 23’), la squadra ha faticato a creare pericoli concreti. Nel primo tempo, la Roma ha retto il confronto, arginando le offensive del Napoli senza subire troppe azioni pericolose, ma senza mai dare l’impressione di poter impensierire seriamente gli avversari.
Nella ripresa, Ranieri ha sorpreso con cambi immediati, ridisegnando la squadra con un 3-5-2 inserendo Baldanzi e Hummels per Pellegrini e El Shaarawy. Tuttavia, la mossa non ha dato i frutti sperati: il Napoli è passato in vantaggio al 54’ grazie a un’azione ben orchestrata e finalizzata da Lukaku, mentre i giallorossi hanno sfiorato il pareggio con Dovbyk, il cui colpo di testa in area si è stampato sulla traversa.
I dubbi sulle decisioni tattiche
Ranieri si è detto soddisfatto della prestazione dei suoi ragazzi nel post partita, ma alcune decisioni tattiche e gestionali fatte nel corso della gara sono difficili da comprendere. A partire dal 4-5-1 iniziale, che si trasformava in 4-4-2 con Pellegrini in pressing su Rrahmani, con Pisilli titolare esterno a sinistra, preferito a giocatori più esperti come Zalewski o Soulé.
Poi il cambio modulo nella ripresa: gli ingressi di Hummels e Baldanzi hanno modificato l’assetto della squadra per contenere meglio “i cross sul secondo palo”, ma è arrivato subito il gol di Lukaku, bravo a resistere alla marcatura del centrale tedesco, a punire i giallorossi. Ha sorpreso anche la scelta di inserire Abdulhamid e Dahl a un quarto d’ora dalla fine per Celik e Pisilli, con il ritorno al 4-4-1-1 per tenere il più largo possibile il reparto di mezzo, e lo spostamento di Mancini come terzino destro.
Infine, due grandi punti interrogativi sulla gestione degli argentini. Dybala è entrato solo all’88’: se la Joya era in grado di giocare, perché inserirlo così tardi, quando la partita era ormai compromessa? Difficile da spiegare l’esclusione di Soulé, che poteva offrire maggiore vivacità alla manovra offensiva.
Roma malata, ma cosa si può salvare?
Ranieri non ha poteri magici ed ha bisogno di tempo per curare una Roma malata. Ciò che preoccupa maggiormente, però, è l’abitudine alla mediocrità. Dopo ogni sconfitta, si cerca conforto in elementi marginali (“abbiamo perso solo di misura”, “la prestazione non è stata del tutto negativa”), ma questa narrativa rischia di anestetizzare la squadra e l’ambiente. La classifica parla chiaro: 12° posto, soli 13 punti, appena 4 sopra la zona retrocessione.
Da salvare con il Napoli un primo tempo ordinato, in cui, nonostante i limiti offensivi, la Roma è riuscita a contenere le avanzate della squadra di Conte, e qualche individualità. C’è da sottolineare l’ottima prestazione di Manu Koné in mezzo al campo: il francese ha riconquistato un’infinità di palloni, calando però di qualità nel finale. Buona prova anche di Bryan Cristante, attento in fase difensiva e bravo in un paio di verticalizzazioni.
Adesso, però, ci si aspetta un salto di qualità da parte di tutti, in particolare dai senatori e dai giocatori più importanti. In primis da Lorenzo Pellegrini, autore di una prestazione negativa e ancora a secco di gol in campionato, e Paulo Dybala, che deve lasciare alle spalle fastidi e dolori muscolari. A fine partita l’argentino ha continuato ad allenarsi con i compagni rimasti in panchina nell’arco dell’incontro, alimentando i dubbi sulla sua gestione.
Il sentimento di rassegnazione
Il calendario non concede tregua: dopo la trasferta a Londra contro il Tottenham, che arriva galvanizzato dalla vittoria per 4-0 contro il Manchester City, ci sarà la sfida con l’Atalanta, una delle squadre più in forma del campionato (con una striscia aperta di 7 vittorie consecutive). Presumibilmente, il vero “nuovo inizio” per Ranieri e la Roma arriverà con la partita contro il Lecce, il 7 dicembre. Sarà cruciale per invertire la rotta e per allontanarsi dalla zona retrocessione.
Il tecnico romano dovrà lavorare non solo sulla tattica, ma anche sulla mentalità di un gruppo che sembra incapace di reagire alle difficoltà. La diffusione della rassegnazione tra tifosi, giocatori e, implicitamente, nell’ambiente non può essere accettabile. La convinzione che partite contro avversari come Napoli o Atalanta siano già perse in partenza segna una rottura rispetto alla tradizionale resilienza della Roma.
I giallorossi devono smettere di cercare consolazioni e affrontare la realtà con lucidità. Continuare a scendere in campo senza il coraggio di giocarsi tutte le carte è una condanna annunciata. La Roma non è una squadra che può accettare l’ordinario. I tifosi meritano di più di una stagione di tiepida accettazione della mediocrità.