Ennesimo episodio. Ancora una volta il VAR è sceso in campo. Anzi no, è salito sul trono. E nel suo regno sterile e asettico, tra monitor HD, replay selettivi e inquadrature capricciose, ha deciso chi doveva essere toccato e chi no, chi meritava il rigore e chi la revoca. Ma almeno stavolta una cosa l’abbiamo capita: non serve più l’arbitro in campo. Basta una regia e qualche zoom artistico. Siamo passati dal “il calcio è degli arbitri” al “il calcio è degli switcher”. Se non sei andato a una scuola di montaggio video, non puoi arbitrare. E soprattutto: non puoi più capire.
A Bergamo, il rigore dato e poi tolto alla Roma per il contatto tra Pasalic e Koné è diventato un’opera di postproduzione. Un corto d’autore. Con una regia che, nel dubbio, ha escluso l’unica inquadratura in cui si vede l’anca di Pasalic stampata sul fianco di Koné. Troppo osé per i nostri standard. Meglio la camera bassa e frontale, quella che suggerisce: “Guarda, Koné è caduto da solo. Autocombustione!”. Il Var, però, non era in ferie. Ha semplicemente scelto la narrazione preferita, quella con meno effetti collaterali.
E qui succede il miracolo: persino Sir Claudio Ranieri, l’uomo pacato per eccellenza, alza la voce. E non lo fa per vendetta, ma per logica. Lo fa perché, forse, ne ha viste troppe. Lo fa perché se ti dicono da anni che l’intensità del contatto è di competenza dell’arbitro di campo, poi non puoi avere uno in cuffia che dice “no guarda, sbagli, non c’è nulla”, mentre il campo lo stavi guardando con i tuoi occhi. Come se fosse un optional.
E l’AIA? L’AIA si dispiace. Ma non di aver confuso la Roma, bensì del dispiacere di Ranieri. E già qui ci sarebbe da aprire un capitolo sulla comunicazione emotiva, quella che da “mi scuso per l’errore” passa a “ci dispiace che tu sia dispiaciuto”. Una forma gentile di “stai calmo, Claudio”. Peccato che il comunicato dell’AIA arrivi sempre puntuale solo quando c’è da spiegare episodi che coinvolgono la Roma. In altri casi, il silenzio regna sovrano. Così regale che si potrebbe chiedere l’inno nazionale prima di ogni replay.
Ah, a proposito: sapete cosa manca? L’audio. Già, quell’audio del VAR che ci hanno promesso e che arriva sempre dopo una settimana, quando ormai la rabbia si è raffreddata e la memoria pure. Come se il calcio fosse una fiction Netflix da godersi con calma, a puntate. Con una puntata speciale chiamata “Open Var”, dove tutto diventa magicamente chiaro. Ma solo se si è molto, molto indulgenti.
Nel frattempo, i dubbi restano. E restano anche i fatti: a Verona, niente spiegazioni; a Monza, spiegazioni vaghe; a Bergamo, spiegazioni artistiche. Un filo conduttore c’è, solo che non si chiama equità, si chiama invisibilità selettiva. E allora, permettetemi una riflessione. Se il VAR decide, il campo osserva, il pubblico subisce, chi è rimasto a giocare a calcio? Forse nemmeno più i calciatori. Se lo dice un arbitro dalla cabina, non serve più nemmeno l’odore dell’erba.
E per chiudere con ironia – perché qui senza ironia si finisce a piangere – ci chiediamo: ma Sozza l’ultimo calcio d’angolo perché non l’ha fatto battere? Aveva il VAR in stand-by? Gli era finita la connessione? Doveva tornare a casa a vedere Open Var in anteprima? Roma tace, ma noi no. Perché quando il calcio perde la sua verità, resta solo la satira. E se non possiamo cambiare il risultato, almeno possiamo raccontarlo con sarcasmo. Perché sì, la Roma è anche questa: passione, battaglie e a quanto raccontano certi stolti, anche un pò di Var-gogna.