Ci sono campionati che somigliano a maratone dominate da un fuoriclasse: uno che prende il comando dopo il primo chilometro e taglia il traguardo senza mai voltarsi. Proprio come il Napoli di Luciano Spalletti due anni fa.
E poi ci sono stagioni come questa, che ricordano una partita di tennis giocata col freno a mano tirato. Napoli e Inter come due tennisti stanchi, arrivati al tie-break senza mai piazzare un colpo vincente: solo errori non forzati, palle in rete, break regalati. A volte per vincere, però, basta sbagliare meno dell’avversario.
E’ stata una battaglia punto a punto, fino all’ultimo respiro. Tutte e due hanno avuto le occasioni per affondare il colpo decisivo. Nessuno le ha sfruttate. E alla fine, il calendario si è esaurito. Alla fine dei conti, però, conta il risultato. E ci dice che il Napoli è Campione d’Italia.
Conte, Lukaku, McTominay, così il Napoli è tornato a vincere
Il Napoli non ha fatto sfracelli, ma ha sbagliato meno. Ha avuto i suoi cali, certo, ma non ha mai dato l’impressione di perdere il controllo. E il merito, in gran parte, è di Antonio Conte. Quando De Laurentiis lo ha chiamato, sapeva perfettamente chi stava ingaggiando: un vincente, uno che non sbaglia questi percorsi. Certo, Antonio non è un allenatore low cost, è esigente, ti chiede tutto. Ma in cambio ti ridà ciò che nel calcio conta di più: i risultati.
“Amma faticà” recitava ad inizio stagione. Ed è quello che ha fatto. Ha sofferto, ha tenuto la barra dritta anche quando sembrava più facile perdersi. Tra imprevisti, infortuni e battute d’arresto, non ha mai perso la rotta. E soprattutto ha trasmesso la sua mentalità ad un gruppo che, dopo Spalletti, sembrava svuotato. Il Napoli è tornato una squadra vera.
E poi c’è la rinascita di Romelu Lukaku. Mai tornato quello devastante dell’Inter prima versione, ma neanche la copia sbiadita vista al Chelsea, o tratti a Roma e a Milano la seconda volta. Questo “Big Rom 2.0“, rivitalizzato dal tecnico salentino – il suo più grande estimatore – è stato concreto, utile, decisivo. Quando servivano muscoli, sponde, reti e assist, ha risposto presente.
Ma la vera intuizione della stagione ha un nome preciso: Scott McTominay. Il centrocampista scozzese, MVP della Serie A, è stato l’uomo che più di tutti ha spostato gli equilibri. Dinamismo, senso del gol, inserimenti, cattiveria agonistica. L’anima del nuovo Napoli. Incredibile pensare che il Manchester United, in piena crisi, si sia privato così facilmente di un giocatore del genere.
Conte ha preso una squadra disorientata e l’ha riportata al vertice. Magari meno spettacolare, ma più concreta. E in un campionato del genere, è bastato. Sotto il Vesuvio ricomincia la festa. E come direbbe l’allenatore salentino: “Chi vince scrive la storia, chi perde la legge“. Il suo Napoli, senza fuochi d’artificio, ha riscritto ancora una volta la sua.
Inter, cosa non ha funzionato: i limiti degli uomini di Inzaghi
L’Inter ha inseguito, ha lottato, ha illuso. Ma alla fine ha ceduto. Troppe partite, troppi chilometri nelle gambe, troppi blackout nei momenti chiave. La squadra più anziana della Serie A ha finito per pagare ogni difetto strutturale: rosa corta, infortuni nei momenti sbagliati, cali di tensione nei secondi tempi.
Simone Inzaghi ha sempre detto che gli impegni non dovevano essere un alibi. E in parte aveva ragione: arrivare in fondo a tutte le competizioni è sintomo di qualità. Ma in campionato, qualcosa si è rotto. I nerazzurri hanno dilapidato il vantaggio, sbagliato le partite più abbordabili, e regalato punti nei finali. Non è stato un caso. E’ stata una tendenza.
Ricordate la frase di Mkhitaryan? “Siamo ingiocabili“. Queste dichiarazioni oggi risuonano come parole indigeste di una squadra che forse era ancora sazia, con lo stomaco pieno della seconda stella. Un’eccessiva iniezione di fiducia che forse ha oscurato una verità più scomoda: questa rosa, per quanto forte, non aveva abbastanza qualità ed energie per reggere su tre fronti e vincere ovunque.
Soprattutto sono mancate le alternative nel momento del bisogno. Le riserve, soprattutto in attacco, non hanno retto. Oltre Lautaro e Thuram, poco o nulla. Quando sono mancati i titolari, l’Inter ha perso mordente. E in un campionato del genere, ogni dettaglio pesa. E’ lì che lo Scudetto è scivolato via: nelle secondo linee non all’altezza, nelle partite gestite male, nella testa che guardava già all’Europa.
Napoli e Inter, un campionato di occasioni mancate
Non è stato un campionato dominato, ma è stato lasciato lì, più volte, da entrambe. Una corsa che nessuno ha avuto davvero il coraggio di vincere. Napoli e Inter si sono passate il testimone dello scudetto come fosse una patata bollente: mai in grado di piazzare lo strappo, incapaci di imporsi con continuità.
Il calendario ha offerto più di un match point. Occasioni concrete, momenti favorevoli, brecce nelle fragilità dell’avversario. Ma ogni volta, chi poteva allungare, ha sbagliato. Chi poteva mettere fine ai giochi, ha avuto paura. Ne è uscita una strana lotta, fatta più di freni che di accelerazioni.
E no, Pedro e la Lazio non sono stati i principali carnefici dello Scudetto mancato dai nerazzurri. La verità è che l’Inter non ci sarebbe dovuta arrivare in quella situazione di punteggio. I rimpianti, per gli uomini di Inzaghi, stanno nei troppi punti persi per strada. Tralasciando il rendimento negativo nei big match, a pesare sul bilancio finale sono soprattutto quei pareggi contro squadre di bassa classifica: Genoa, Monza, Parma, per citarne alcune. Partite in cui l’Inter avrebbe dovuto fare bottino pieno. E in un torneo deciso da un punto, questo pesa come un macigno.
Ma anche il Napoli non è esente da colpe. Basta guardare il periodo tra la 23ª e la 31ª giornata: un rallentamento improvviso quando bisognava spingere. Tante le occasioni sprecate dagli azzurri, mentre a Milano annaspavano. In quelle partite si è rischiato di gettare tutto. Senza dimenticare le ultime giornate contro Genoa e Parma. Gli uomini di Antonio Conte avrebbero potuto – e forse dovuto – chiudere i conti. E invece li hanno riaperti. L’Inter ha avuto di nuovo la porta spalancata. L’ultima occasione vera, e l’ha fallita.
Uno scudetto deciso più da incertezze che da certezze. Da rallentamenti più che da fughe. Il Napoli si è laureato Campione d’Italia con 82 punti. Non a caso, la quota scudetto più bassa nell’era dei tre punti a vittoria, eguagliando l’Inter del Triplete e il Milan di Allegri nella stagione 2010/11. Numeri che non lasciano dubbi: questo è stato lo “Scudetto dei braccini corti“. Vinto da chi ha tremato meno, non da chi ha dominato.
Inter, c’è solo il PSG: a Monaco l’ultima occasione per vincere
Lo Scudetto è sfumato. Di nuovo. Senz’alcun dubbio, ai tifosi interisti farà male, perchè era lì, a un passo. Ma non c’è tempo per i rimpianti: davanti all’Inter resta un’ultima chiamata, la più importante di tutte: la finale di Champions League contro il Paris Saint-Germain.
Il famoso “tre” indicato da Simone Inzaghi – Coppa Italia, Campionato, Champions – ha già perso due dita. Ne resta solo una. E va puntata dritta verso il cielo. Un trofeo europeo cambierebbe tutto. Ridarebbe senso a questo finale di stagione complicato. Cancellerebbe gli errori e i malumori. Alla fine il tifoso non si nutre di ricavi e plusvalenze, ma di coppe alzate in cielo. Lo scudetto del bilancio conta per i dirigenti. Il popolo vuole vincere.
Non ci sono più alibi, fine dei discorsi. Basta turnover, rotazioni, calcoli. Serve l’Inter d’Europa: quella feroce, lucida, cinica. Non quella distratta vista troppe volte in campionato. A Monaco in gioco ci sarà la credibilità di un progetto, la legacy di Inzaghi, la fame di un gruppo che visto scivolare via il campionato due volte in tre anni. Contro il PSG sarà la resa dei conti. E l’Inter non può permettersi di perderla.