30 giugno 1978. Il lupetto di Gratton diventa marchio ufficiale della Roma

Il 30 Giugno 1978 Piero Gratton, disegnatore e grafico dell'As Roma, depositava il suo storico Lupetto. In questi quarantasette anni, questo simbolo, nato tra le polemiche e le critiche, per i tifosi giallorossi è diventato qualcosa di più di una semplice icona.

Marco Di Rosa
5 min di lettura

Roma, estate 1978. In un’assolata e calda mattina di fine giugno, un grafico della As Roma varca, con il cuore in gola, la soglia del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato. Dentro di sé un turbinio di emozioni: dubbi, speranze, la paura di osare troppo. Ma alla fine a prevalere è la convinzione di star facendo qualcosa di importante, forse epocale. Entra nell’ufficio deposito marchi, compila i moduli necessari e li consegna. Il dado è tratto. Piero Gratton ha appena registrato il nuovo simbolo della Roma.

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Il verbale ne riporta la descrizione con le seguenti parole: “Due centri concentrici scuri racchiudenti la rappresentazione schematica di una testa di lupo a bocca semi-aperta e presentante un grosso occhio ovale chiaro.” Accanto spicca una “grossa R maiuscola, scura, piena, un po’ fantasiosa e bordata da una doppia cornice che ne segue il profilo, il tutto apparendo simile ad una freccia diretta in alto a sinistra“. Era appena nato lo storico Lupetto della Roma. Non un semplice logo, ma un’icona destinata ad unire diverse generazioni di romanisti.

Un inizio tra critiche e polemiche

Piero Gratton, grafico ufficiale della Roma a partire dal 1974, rivoluziona l’immagine della società giallorossa. Disegna le tessere degli abbonamenti, le locandine, le tute ufficiali, le divise, i prodotti commerciali, e reinventa il logo tipo della società capitolina con “AS” in giallorosso e “Roma” completamente in nero. Ma il punto più alto della sua opera arriva in quel 30 giugno 1978, quando regala alla Roma un emblema capace, ancora oggi, di far venire i brividi a chi ama questi colori. Amore a prima vista, quindi? Non proprio. Appena tre settimane dopo, quando la società presenta ufficialmente alla stampa e ai tifosi il nuovo simbolo, si scatena un’ondata di aspre critiche. Incredibile, ma vero: il Lupetto divide e fa discutere.

E allora ecco il colpo di genio. La Roma, per riconciliarsi con i propri tifosi, chiede a “Il Messaggero” di pubblicare un articolo a firma “Lupacchiotto. La mossa funziona, perché le parole che seguono convincono e conquistano tutti: “Caro Messaggero, so che questa mia lettera susciterà qualche meraviglia. Un lupo che scrive ad un giornale? Ma quando mai. Mi è toccato perfino leggere che i tifosi giallorossi m’accusano di portare “jella” e che, pertanto, gli stessi richiedono a furor di popolo il ripristino della vecchia e gloriosa lupa, come dire: mia madre”.

Il Lupacchiotto si difende con intelligenza ed orgoglio e, infine, chiude con una promessa che, a rileggerla oggi, sa di profezia: “Così sono nato io, legittimo rampollo della più pura stirpe lupina. Vi garantisco che il mio cuore non ha niente da invidiare a quello leggendario di mia madre, è solamente più giovane. Datemi tempo e ve lo proverò!”. E così è stato, perché il tempo, da gran galantuomo, gli ha dato ragione.

Un’emozione che dura da 47 anni

Sono passati quarantasette anni da quel giorno. E non c’è stato un solo istante in cui il Lupetto di Gratton abbia smesso di camminare al fianco della Roma e dei suoi tifosi. Nato come simbolo di rottura, accolto da pesanti polemiche, col tempo è diventato un’icona sacra che fa parte della nostra pelle, della nostra anima. Per quasi mezzo secolo ha vissuto, in simbiosi con noi, la gioia e la tristezza che solo una squadra come la Roma sa regalare.

Era lì, quando lacrime di gioia rigavano il volto dei nostri padri, l’8 Maggio 1983 a Genova. C’era anche l’anno dopo, il 30 Maggio 1984, quando quelle stesse lacrime si trasformavano in amarezza in un Olimpico incredulo. C’è sempre stato. A sorreggerci nelle cadute, anche quelle più fragorose, o ad esultare con noi nella rare volte in cui un destino avverso si è dovuto piegare all’amore travolgente per questi colori. È apparso sui muri della città tracciato con bombolette spray, è stato dipinto sul volto dei bambini allo stadio, disegnato sui banchi di scuola, ricamato sulle sciarpe, raffigurato sulle bandiere. Ma soprattutto è stato cucito per sempre sul nostro petto.

In questo lungo viaggio che ci ha portati fino a qui, il Lupetto di Gratton ha smesso i panni di simbolo, forse per sempre. Perché quel cerchio con la testa di lupo dentro, col passare degli anni, è diventato altro. È diventato una promessa. Una casa. È diventato la Roma.

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Sono Marco Di Rosa, diplomato al Liceo Classico e laureando in Storia Moderna e Contemporanea. Romano, ma soprattutto romanista da sempre. Raccontare la Roma non è soltanto un lavoro, ma un privilegio e una passione che spero di poter onorare al meglio, regalandovi, tifosi giallorossi, uno sguardo critico, profondo e sincero sulla nostra squadra. Perché dietro ogni cronaca, ogni analisi, c’è un cuore giallorosso che batte forte. Proprio come il vostro.
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