Rino Gattuso, in piedi davanti alla panchina della Nazionale, con lo sguardo tagliente, infuocato e le braccia incrociate. Un’immagine potente. Quella stessa espressione che, nel 2006, guidava il centrocampo azzurro verso un Mondiale vinto a colpi di sacrificio. Oggi, 19 anni dopo la finale di Berlino, Ringhio potrebbe tornare a Coverciano da commissario tecnico.
Dopo l’esonero di Spalletti e il rifiuto di Claudio Ranieri, la FIGC potrebbe voler puntare su di lui. Non uno qualsiasi, ma un uomo che la maglia azzurra l’ha incarnata, sudata, amata. Affidare l’Italia a Gattuso, però, significherebbe scegliere un profilo atipico, tutto cuore e campo, con pregi enormi…ma anche rischi non trascurabili. E’ davvero lui la scelta giusta nel momento più delicato del calcio italiano?
Perchè dire sì a Gattuso: identità , meritocrazia, riscatto
Gennaro Gattuso è il simbolo identitario dell’Italia più combattiva, quella che compensa la mancanza di genio con la forza dell’orgoglio e del sacrificio. “Grinta e cuore sono l’abc del calcio. Senza voglia, senza anima non si può giocare“. Da giocatore era un soldato in campo, uno che portava sulle spalle il peso di un’intera nazione, uno che lottava per ogni pallone come se fosse l’ultimo.
In panchina, questa mentalità non cambia. Ed è proprio questo spirito che oggi manca alla Nazionale. Rino incarnerebbe una visione più cruda, più vera del calcio, riportando al centro la cultura della fatica e l’attaccamento alla maglia.
Ha già allenato piazze di primo livello come Milan, Napoli, Valencia, Marsiglia e Hajduk Spalato, formandosi tra pressioni altissime e contesti internazionali complicati. A livello tattico, il modulo di riferimento è il 4-2-3-1, ma ha dimostrato flessibilità passando anche al 4-3-3 o talvolta utilizzando la difesa a tre, adattando sempre il sistema agli uomini a disposizione.
Sul piano della selezione, non guarda ai nomi o ai curriculum, ma alla forma. Chi è in condizione gioca. Chi merita, viene convocato. Una logica meritocratica concreta, che rompe le gerarchie statiche e non si vincola a dogmi intoccabili. La maglia si conquista, non si eredita. Un segnale forte, che potrebbe rigenerare anche lo spogliatoio.
E infine, c’è un elemento personale fondamentale: questa è l’occasione della vita per Gattuso. Dopo anni di carriera fra alti e bassi, questa panchina rappresenterebbe il suo Everest. Un uomo come lui, davanti a sfide come queste, quando sente che è tutto o niente, è capace di superare qualsiasi limite.
I rischi di scegliere Gattuso: carattere, moduli e zero margine d’errore
La passione, da sola, non basta. L’impatto emotivo non può certamente cancellare i rischi evidenti che comporterebbe la scelta di Gattuso come CT azzurro. La prima criticità è di tipo caratteriale: Ringhio è un uomo diretto, impulsivo, ruvido. Proprio come Spalletti. E quest’ultima esperienza ci ha insegnato che un gruppo fragile, già logorato, potrebbe non reggere un’altra gestione nervosa. La Nazionale ha bisogno anche di un equilibrio psicologico, non solo di scosse.
C’è poi una questione tattica, non banale. Il tecnico di Certaldo, dopo l’Europeo, aveva costruito un’identità basata sulla difesa a tre, sfruttando il blocco Inter. Rino, invece, ha sempre preferito l’utilizzo delle linee a quattro: 4-2-3-1, 4-3-3. Dunque nuovi automatismi da ricostruire, ruoli da ripensare ed equilibri da definire. Cambiare impianto in corsa è sempre un azzardo.
Infine il punto più pesante: Gattuso, nei subentri, raramente ha avuto impatto immediato. Al Milan e al Napoli ci ha messo un po’ a trovare la quadra. In entrambe le esperienze, la sua partenza è cominciata al rallentatore. All’estero, invece, è andata peggio. Le campagne con Valencia e Marsiglia si sono concluse con l’esonero.
Dunque la vera domanda: è lui l’uomo giusto da cui ripartire? Perché adesso non si può più fallire. L’Italia rischia il terzo Mondiale mancato consecutivo e a questo punto, la FIGC non può permettersi scommesse sbagliate.