Ex Roma i microfoni, e questa volta è stato il turno di Borja Mayoral, attaccante del Getafe in giallorosso dal 2020 al 2022. Nell’intervista a Cronache di Spogliatoio, lo spagnolo è partito dal retroscena sul suo arrivo nella capitale: “Venivo da due anni al Levante dove avevo fatto molto bene. Il Real Madrid voleva che rimanessi, ma quando il mercato stava per chiudere il mio agente mi dice ‘Hai un’offerta dalla Roma, vedi tu ma è una piazza difficile’. Mi son detto ‘Mi piacciono le sfide, sono stato al Real e voglio giocarmela anche lì’. Mi sentivo pronto e desideravo una chance per scendere in campo con continuità.
Subito un buon impatto con i suoi nuovi colori, fino ad un epilogo non felicissimo: “In quella Roma c’erano tanti spagnoli come Pedro, Perez, Villar. Ci trovavamo spesso insieme per guardare le partite, mangiare o conoscere la città. E poi c’erano Dzeko, Mkhitaryan, El Shaarawy, Pellegrini, tutti ragazzi splendidi. Con Edin avevo un bel rapporto, parlavamo molto. Nella mia prima stagione ho fatto bene, e anche se giocavo pochi minuti segnavo tanto. Un peccato non aver vinto nulla, nonostante la semifinale di Europa League con lo United. Poi tra infortuni e addio di Fonseca la mia esperienza è cambiata totalmente“.
Proprio del tecnico Mayoral ha parlato: “Mi ha convinto alla prima chiamata. Lui stava facendo bene e gli serviva un attaccante con caratteristiche diverse da Dzeko. È stata un’esperienza unica e indimenticabile“. Tutto è cambiato con l’arrivo di dello Special One: “La Roma voleva che rimanessi, dopo i 17 gol voleva usare la recompra. Mourinho ha preferito prendere altri rinforzi e scegliersi i giocatori, non ho avuto la possibilità di dimostrargli niente. Credo di aver giocato 3 partite, poi io e Villar siamo andati al Getafe. Avevo troppa voglia di giocare e dimostrare ciò che potevo fare”.
Sul diabete: “Non ho permesso alla malattia di spegnere i miei sogni”
Decisamente toccante poi il passaggio di Borja Mayoral sul diabete, patologia con cui convive si da bambino: “La mia vittoria più grande è non aver permesso alla malattia di spegnere i miei sogni. Io ero piccolo e non mi rendevo conto di nulla, e credo che il diabete abbia cambiato più la vita ai miei genitori, che si sono dovuti abituare a controllarmi, medicarmi, regolare lo zucchero. Immagino sia stato difficile all’inizio, ma penso che abbiano fatto tutto nel migliore dei modi”.
E ancora: “Anche nei primi anni in cui giocavo a calcio andavo periodicamente in ospedale, ma erano i miei genitori e lo staff del Real Madrid a fare tutto. Col tempo ho imparato a farmi da solo le punture, a controllare i miei dati glicemici e l’alimentazione. È una malattia che ti insegna a rispettarti sotto tutti i punti di vista, e oggi so di essere un punto di riferimento per molti, con famiglie e bambini che mi scrivono spesso. In futuro vorrei creare un’associazione per tutte quelle persone che faticano a reperire informazioni corrette o a curarsi. Ho già aiutato molta gente in Spagna e Italia, è una cosa che faccio con piacere”.