Lo ha scritto Ivan Zazzaroni sul Corriere dello Sport e, per quanto ci si sforzi, è difficile dargli torto. L’Italia è un Paese in cui si discute animatamente di formazioni, pressing alto e tridente leggero al bar sotto casa, ma poi, quando il tricolore deve tornare a contare qualcosa a livello internazionale, nessuno vuole metterci la faccia davvero.
Ranieri ha detto no. E ha fatto bene. La Nazionale è diventata un campo minato, più che un sogno. Un ruolo da traghettatore su un Titanic in ritardo di almeno due cicli, pieno di crepe e di zavorre dirigenziali. Claudio, che conosce Roma e la Roma meglio di chiunque, ha fiutato l’aria. Sapeva di essere diventato, suo malgrado, la toppa per un sistema in frantumi. E allora, ha salutato. Con dignità. Con rispetto. Ma anche con un messaggio chiaro: non è il momento di tornare.
La federazione nel pallone
Che non ci fosse un piano, era chiaro da mesi. Che tutto si sarebbe retto sull’effetto Spalletti, anche. Ma il crollo dell’Europeo – sportivo e comunicativo – ha messo a nudo quello che molti sospettavano: la Nazionale è in balia del nulla, e la Federazione peggio.
Zazzaroni parla di commissariamento, di spaccature, di fuoco amico. E c’è del vero. Perché oggi l’azzurro divide. Non unisce. E questa è la sconfitta più grande. Nel frattempo, fuori dalle stanze dei bottoni, si parla. Si fanno nomi, si cerca la figurina giusta. Non quella giusta per il gioco, sia chiaro, ma quella giusta per calmare le acque. Patania – sempre su Il Corriere dello Sport – ha tracciato un identikit: niente “giochisti”, serve uno pratico. Empatico. Veloce. Uno da sei partite e via. “Uno da risultato”, si dice. Sembra una barzelletta, ma è il riassunto perfetto dell’ansia da prestazione che soffoca Coverciano.
Qualcuno ha tirato fuori Mourinho, e per una volta ci scappa anche un sorriso. Ma a pensarci bene, il suo nome brilla ancora. Perché se il Brasile ha scelto Ancelotti, perché noi dovremmo avere paura di Giuseppe?
Il calcio italiano ha bisogno di identità, non di tamponi
Il punto è proprio questo: non si può curare un’emorragia con un cerotto. La Nazionale ha bisogno di tempo, visione, coraggio. Ma oggi è tutto urgente, tutto calcolato al millimetro. Non si cerca un progetto, ma un pronto soccorso. E allora? Allora niente. Aspettiamo. Guardiamo sfilare i nomi, le ipotesi, i sondaggi con i favori dei bookie. Ma sappiamo già che nessuno accetterà di prendere davvero il comando, finché le fondamenta resteranno instabili.
Ranieri ha detto no. Mourinho non arriverà. E la Nazionale, per ora, resta senza guida. L’Italia – quella che sognava Bearzot, quella che idolatrava Baggio, quella che si emozionava con Grosso – oggi non sa più dove andare. Eppure una cosa è certa: se continuiamo a trattare la panchina azzurra come un banco di prova per salvare facce e carriere, invece che come il punto più alto del nostro calcio, allora non ci sarà play-off che tenga. Il Mondiale, semplicemente, ce lo guarderemo ancora dal divano.