Dybala da orgasmo, Porto ko e Roma agli ottavi: l’arte giallorossa di farsi del male

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Lorenzo Zucchiatti
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Esultanza Roma

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“Vincere non è importante ma è l’unica cosa che conta”. La famosa frase attribuita a Gampiero Boniperti, ma che avrebbe origini americane più antiche, rimane un postulato sempre valido, a maggior ragione in scontri ad eliminazione diretta. Questo si chiedeva alla Roma e questo è stato fatto, in un Olimpico ancora arma in più dei giallorossi (inespugnato dal match con l’Atalanta del 2 dicembre). Per valori e gioco espresso, il doppio confronto con i lusitani poteva portare meno apprensione nei cuori dei tifosi, posto che il Porto attuale non è nemmeno lontano parente di quello made in Conceicao metteva in difficoltà tutti in Champions League.

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Ed è lo stesso Ranieri a bacchettare i suoi a fine gare, a sottolineare con consapevolezza, ed anche un pizzico di incredulità, quella dannata arte giallorossa di volersi fare del male da soli. Un autolesionismo che si traduce in poca lucidità, intelligenza e razionalità sottolineata dal tecnico. Una Roma che sta diventando squadra, ma che probabilmente non lo è ancora a pieno, in cerca di quello step di maturità fondamentale per puntare alla finale, perché errori come quelli di giovedì sera si pagheranno a prezzo ancora più alto andando avanti.

Certo, non vogliamo essere troppo ruvidi con al squadra, perché gli ottavi di finale, contro l’Athletic Bilbao, sono in saccoccia, e la prestazione contro il Porto è stata di livello, dalla grinta mostrata da tutti gli interpreti della gara fino ad un Dybala da orgasmo, che ci ricorda perché amiamo follemente questo sport.

Dybala incanta, ma serve limare le disattenzioni

Come si svilupperà il match (qui l’analisi del 3-2 finale) è piuttosto chiaro fin dalle prime battute. Porto speculare alla banda di Ranieri, con una sorta di 3-4-2-1, ordinato e con quasi tutti gli effettivi sotto al linea del pallone, pronto a cercare il lancio per Omorodion e gli inserimenti di Pepe. Giallorossi con il pallino del gioco senza affanni, in attesa del varco giusto per colpire, ma a metà primo tempo eccola lì, quell’insana voglia di complicarsi la vita che tanto piace alla Roma: Svilar sbaglia il passaggio per Paredes in impostazione, riprendo l’eterno dibattito sull’esasperazione della costruzione dal basso, e Samu cesella una rovesciata buona per fotografi e vantaggio dei portoghesi.

Qui però il primo punto incoraggiante per il futuro, quello di una squadra che, passati i primi 5′ di nervosismo, torna a giocare come sa, e poi… beh, lo ha detto lo stesso Ranieri nel post partita: “Avere grandi giocatori aiuta”. Ciò che realizza Dybala è arte allo stato puto, l’essenza stessa di questo sport, ciò che, a prescindere dal tipo, ti fa alzare in piedi e applaudire. Come d’incanto, la qualificazione torna a pendere dalla parte della Roma, e ad inizio ripresa ci pensa Eustaquio a stendere il tappeto rosso, sferrando un pugno a Paredes e guadagnandosi una meritata doccia anticipata.

Un red carpet che però la banda di Ranieri decide di percorrere a stivali sporchi, per così dire, in nome ancora di quell’autolesionismo che porta prima all’erroraccio di N’Dicka sul conseguente palo di Omorodion, come all’andata su rilancio di Diogo Costa, e dopo all’autogol di Rensch nei minuti finali. Per fortuna il gol di Pisilli aveva messo in sicurezza la qualificazione agli ottavi, ma limare tali disattenzioni sarà la chiave tanto per rimonta in campionato quanto per il cammino verso la finale di Bilbao.

Niente derby, l’Athletic Bilbao come a settembre

Ecco appunto, Bilbao, perché è proprio questo l’avversario che l’urna di Nyon ha pescato per la Roma. Scongiurato dunque un derby della capitale che, a sensazione, un po’ tutti volevano evitare, non tanto per paura dell’avversario quanto per una tensione emotiva difficile da sostenere per una stracittadina europea. Sicuramente contenta la Lazio, che affronterà un ben più abbordabile Viktoria Plzen, che vede all’orizzonte un buon corridoio per proseguire in Europa League, ed evita una Magica che, un mese e mezzo fa, l’ha annichilita con un netto 2-0.

La stessa Roma però non sarà dispiaciuta di risparmiarsi due derby in più, anche se l’Athletic Bilbao è avversario vero. Il percorso europeo era iniziato proprio contro i baschi, nella prima giornata del girone, per quella che era la seconda panchina di Juric in giallorossi dopo il 3-0 all’Udinese all’esordio. Una partita ricca di rimpianti, per lunghi tratti nelle mani dei capitolini e, come accade spesso anche oggi, non chiusa dopo la rete del vantaggio di Dovbyk.

L’1-1 finale, con gol di testa di Aitor Paredes a 5′ dal triplice fischio, lascerà l’amaro in bocca, ma tante cose sono cambiate da allora, anche nell’Athletic Bilbao: la squadra di Valverde, per nulla brillante in quel 26 settembre 2024 all’Olimpico, è ora 4ª in campionato a giocarsi l’ingresso alla prossima Champions League, ha il vantaggio di disputare la gara di ritorno con i giallorossi al San Mames e, come accennato, ha l’incentivo in più della finale nel proprio stadio; quella stessa partita che la Roma vuole tornare a giocare a due anni di distanza dall’ultima volta.

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Diplomato al liceo classico e laureato in Giurisprudenza, con una tesi in Diritto Sportivo sui contratti di sponsorizzazione, ho messo in stand-by la "carriera" da giurista per fare della mia passione, lo sport in generale ed il calcio nello specifico, una professione. Scrivere e, ancor di più, parlare di pallone è per me il sale della vita, qualcosa che potrei fare per ore senza annoiarmi. Il mio obiettivo è informare ed ispirare, attraverso racconti ed analisi approfondite, coloro che ogni giorno si interessano alle dinamiche dello sport. Tra le mie esperienze figura anche un Master in gestione ed amministrazione delle aziende sportive.
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