Alti e bassi e rimpianti, due concetti chiave nella stagione della Roma che continuano ad essere protagonisti, soprattutto in quest’ultimo periodo con Ranieri alla guida. Nel giro di una settimana siamo passati dal disastro di San Siro in Coppa Italia alla prestazione balneare ma efficace di Venezia, fino alla prova gagliarda contro il Porto, anch’essa però caratterizzata da rimpianti e rimorsi.
Per chi non ha visto la partita, l’1-1 del Do Dragao potrebbe fa sorridere, un pareggio su un campo difficile che di fatto si annullerà in vista della “finale” dell’Olimpico di giovedì prossimo, davanti alla propria gente. Eppure contro un Porto che, tanto per qualità quanto per personalità e carica emotiva, non è nemmeno lontano parente di quello che metteva il bastone tra le ruote a tutti in Champions League negli ultimi anni, la Roma stava costruendosi una vittoria fondamentale in vista del ritorno e meritata per applicazione e voglia.
Di come tra ingenuità, distrazioni e polemiche arbitrali si sia poi arrivati al pareggio finale ne parleremo a breve, ma l’andata ha comunque sottolineato che una Roma sul pezzo ha ampiamente le capacità per eliminare l’avversario, anche senza gli squalificati Saelemaekers e Cristante e con un Baldanzi, entrato al posto di un Dybala colpito duro al ginocchio da Varela, che merita spazio per la grinta e passione con cui entra in campo. Il match però merita un’attenta analisi su diversi aspetti, con il Ranieri Furioso, in una veste nuova che raramente gli avevamo visto addosso, come assoluto protagonista.
Ranieri, le scelte pagano a metà
Titolo della puntata leggermente provocatorio oggi, ma veritiero a parere di scrive: Ranieri ha (quasi) sempre ragione, e ci riferiamo tanto alle decisioni di campo quanto alle dichiarazioni post partita. Partiamo dal rettangolo di gioco, con il tecnico che, ancora una volta, opta per scelte sorprendenti nell’11 titolare che pagheranno a metà. Ci sentiamo piuttosto sicuri nell’affermare che qualsiasi tifoso della Roma abbia fatto due pensieri distinti ieri sera.
Il primo di incredulità totale alle formazioni ufficiali, con Hummels e Paredes, i due “vacanzieri” dello scorso weekend lasciati a riposo, ancora in panchina in favore di Cristante e Celik, e non ci teniamo a sapere quali variopinte espressioni ed imprecazioni siano uscite dalle vostre bocche. Il secondo, diametralmente opposto, al minuto 66 della partita, subito dopo quel colpo di testa di Bryan parato da Diogo Costa; della serie: “Se la vinciamo 0-2 con gol di Celik e Cristante allora non stiamo parlando di un allenatore ma di un demone, un essere mitologico che vede cose che noi umani non possiamo nemmeno immaginare”.
Un film evidentemente troppo bello da raccontare, visto che 60′ dopo l’occasione arriva il pareggio del Porto, con un lungo lancio del portiere per Pepe ed una Roma disattenta e scoperta sul ribaltamento di fronte, nonché la sciocca espulsione di Cristante. Essendo in vantaggio oltre l’ora di gioco, poteva Ranieri lasciare un uomo in più dietro sui calci d’angolo? Avrebbe dovuto togliere l’ex Atalanta già ammonito? Col senno di poi son bravi tutti, visto che il tecnico aveva effettivamente tolto Koné all’intervallo perché a rischio espulsione e aveva anche Pellegrini con il giallo, come tanti altri della squadra.
Il saluto negato, le statistiche dell’arbitro e Taylor
Ma veniamo dunque alla questione arbitro e allo sfogo di Ranieri nel post partita, uno sbrocco mourinhano all’ennesima potenza, dove la protesta si è arricchita di comportamenti degni del miglior Special One: saluto negato all’arbitro a fine gara, statistiche del direttore Tobias Stieler, che in 21 gare europee non ha mai “fatto vincere” la squadra in trasferta, e addirittura la frecciatina a Rosetti in conferenza stampa, con quel amico del tecnico a rivelargli che fu lui a designare Taylor per la finale di Budapest di due anni fa.
A parere di chi scrive, la protesta di Ranieri, benché comprensibile e giustificata, lascia qualche perplessità: l’aver portato via i giocatori a fine partita è stata una mossa intelligente di un uomo che sa che il rischio di una parola di troppo e nuove squalifiche è dietro l’angolo, più che per un “l’arbitro non meritava il saluto”, una frase che sembra volta più a far rumore, citando il buon Diodato a Sanremo.
Il discorso invece di aver mandato Stieler in uno stadio caldo, da arbitro con cui nessuno ha mai vinto in trasferta, impone una riflessione: sarebbe stato fatto anche in caso di designazione per il ritorno in un impianto altrettanto caotico ed influenzante come l’Olimpico? Permetteteci di dire poi che Il riferimento a Taylor poi è populismo allo stato puro, con quel “allora si capisce tutto” quasi a far trapelare una sorta di complottismo, al quale chi vi parla non vuole e non vorrà mai credere. Pensieri veri o un messaggio ai Friedkin? Proprio come quando Mourinho chiedeva che il club pretendesse più rispetto in campo internazionale.
Livello basso e diffidenza: il sistema arbitri va cambiato
Per quanto ci riguarda il discorso è un po’ più semplice: Stieler è un arbitro scarso, lui come tanti altri che vediamo ogni weekend. Un fischietto che non è in grado di mantenere il controllo di una partita maschia ma priva di scorrettezze, senza episodi eclatanti, al netto del rosso a Cristante giusto, e resa da lui stesso nervosa con gialli sventolati ai quattro venti senza criterio, è semplicemente non all’altezza di certi palcoscenici. Ed è qui che, al di là dell’umano sfogo, ci affianchiamo a Ranieri contro Rosetti, un uomo che si deve rendere conto del basso livello raggiunto da molti arbitri.
Sono questi soggetti non più strumento necessario ma invisibile nelle partite, ma veri e propri protagonisti non richiesti, e non è un caso che gli allenatori, addirittura un Ranieri sempre pacato e di ben altra scuola, siano sempre più informati su precedenti, statistiche e attitudine degli arbitri, proprio come se fossero avversari da studiare. Ancora più grave, e vedremo cosa succederà sta volta (a nostro parere niente), è la mancata presa di coscienza di tale situazione, perché lo vediamo anche in Italia il corredo di giustificazioni più o meno discutibili che seguono decisioni e prestazioni dei direttori di gara.
Al di là dei concetti espressi da Ranieri dunque, il grido di allarme è univoco e necessario: c’è bisogno che organi nazionali ed internazionali mettano mano tanto al protocollo VAR, uno strumento usato ancora male per l’utilità che ha, quanto alla formazione di arbitri al momento megalomani e sempre più lontani, nella conduzione di un match, dall’essenza stessa del calcio.
Dovbyk né carne né pesce
Chiusa l’ampia riflessione sul tema arbitri, una parentesi sui singoli che ha visto molti alti sul campo del Porto. Ottima la prestazione del terzetto di difesa, che non ha fatto rimpiangere l’assenza di Hummels. Bene gli esterni mentre fatica per un Koné molto falloso ed un Cristante che proprio non ce la fa a svoltare quest’anno. Vogliamo per concentrarci su Dovbyk: la partita di ieri ha visto l’ucraino toccare il pallone 30 volte, fare 19 passaggi giusti su 23 e servire l’assist per un debole tiro di Dybala. Di contro però appena 2 duelli vinti su 8 (25%), 7 palle perse e 2 falli commessi.
In generale non la prestazione peggiore da quando è a Roma, da 6- diciamo, quel né carne e né pesce che non va bene pensando all’importanza della partita. Della sua prova rimane soprattutto il goffo tiro del primo tempo, che dimostra poca abilità al tiro e zero visione di gioco, che gli avrebbe permesso di servire Pellegrini ben appostati in area. Concedeteci dunque la domanda provocatoria: a cosa serve Dovbyk? In cosa è veramente bravo? Non è un regista avanzo alla Dzeko, non attacca la profondità come il Lukaku dei bei tempi, e non è neppure icardiano sotto porta.
Il concetto sembra essere sempre lo stesso: le singole prestazioni possono essere più o meno buone, ma troppo spesso Dovbyk appare come un corpo estraneo, slegato rispetto ai compagni e assente quando è il momento di incidere. Andrà aspettato, non c’è molto da fare, e al di là di forte o scarso, giudizio personale che ognuno che ognuno di noi liberamente avrà, 36 milioni, tra parte fissa e bonus, per aggiudicarsi l’ucraino appaiono sempre più come una cifra spropositata rispetto al rendimento fin qui.