Il mondo del calcio è pieno di giocatori caratterizzati da quella pesante etichetta di eterni incompiuti, di promesse non mantenute con la quale è difficile convivere. Un caso emblematico è quello di Davide Santon, cresciuto nella cantera dell’Inter e diventato subito popolare per una serata in particolare, una notte di Champions League del 2009 nella quale, appena 17enne, fermò in maniera netta e totale un certo Cristiano Ronaldo. L’ex Roma però non confermò le premesse viste in quell’occasione, giocando per Cesena e Newcastle prima di smettere, a soli 31 anni, dopo l’ultima esperienza in giallorosso.
In una lunga intervista alla Gazzetta dello Sport, l’ex terzino destro si è raccontato, rivelando pensieri molto profondi: “Dopo aver smesso alla Roma ero depresso, senza meta, il supporto psicologico è stato decisivo nei primi 6-7 mesi dopo aver appeso le scarpe al chiodo. Pensavo solo alla mia fine triste, diversa da quella che avrei voluto, eppure ero così stanco… Il calcio era diventato più sofferenza che gioia, ma allo stesso tempo ero pieno di “se”. Se avessi fatto quello, se non mi fossi fatto male, se, se… Ma se il rimpianto ti assale ti serve un aiuto”.
Parole oneste e sincere di un uomo che ora ha raggiunto il suo equilibrio ed è uscito da questa situazione. Il ricordo più bello Santon lo dedica a Mourinho, primo ed ultimo allenatore della sua carriera: “All’Inter girava tutto intorno a lui, mentre alla Roma era un po’ meno dittatore, si era addolcito. Ma lui è unico in ogni epoca, ha sempre detto tutto in faccia, pochi lo fanno e ti illudono. Ho apprezzato la franchezza quanto in giallorosso sono stato messo fuori rosa e l’unica strada era smettere. Avevo iniziato con lui e dovevo finire con lui”.
Santon su Inter-Juventus del 2018: “Non ci ho dormito per giorni”
Nell’esaustiva chiacchierata, Santon è tornato poi su quell’Inter-Juventus 2-3 del 2018, una gara nella quale entra all’84’ al posto di Icardi e commette due errori di marcatura gravissimi, che permettono ai bianconeri di ribaltare il risultato: “Non ci ho dormito per giorni, da quel momento in poi mi ha affiancato un mental coach. Era diventato tutto troppo pesante perché se giochi con la paura complichi solo le cose. È stato uno dei momenti più duri, non c’era modo per cancellare le mie colpe. Per questo andai alla Roma, e ricordo che, da giallorosso a San Siro mentre uscivo per l’ennesimo infortunio, tutto il pubblico applaudiva. Ho capito che non mi odiavano più e i bei ricordi erano superiori ai brutti”.