“Che palle il tempo che passa”. Così Roberto Pruzzo nella lunga intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport, nella quale ha ripercorsi lunghi tratti della sua carriera giallorossa. “Basta una partita per capire di quale campionato parliamo: Roma-Lecce. Era la stagione 1985/86, faticammo all’inizio andando a -8 dalla Juventus, quando la vittoria valeva 2 punti. Nel girone d’andata giocai poco e segnai appena due reti, mi scatenai al ritorno con 17 in 13 partite, con addirittura 5 gol all’Avellino. Divenni per la terza volta capocannoniere davanti a Rummenigge, Platini e Maradona. Giocavamo un calcio meraviglioso e recuperammo lo svantaggio. Poi alla penultima giornata con il Lecce già retrocesso… non me lo ricordare”.
Si parlò addirittura di scommesse riguardanti il primo tempo su quel Roma-Lecce 2-3: “Str***ate. Nello spogliatoio della Roma non si cazzeggiava, c’erano personalità forti ed io ero un leader. Se qualcuno avesse fatto qualcosa di sbagliato non ne sarebbe uscito vivo. Quella partita fa parte delle follie del calcio, quelle che lo rendono imprevedibili e affascinante. Eravamo sicuri di vincere, Lo Bello ci annullò il 2-0 e non protestammo neanche. Nel Lecce entrò il portiere di riserba Negretti e fece il mostro, una gara stregata”.
Non però il rimpianto più grande della carriera di Pruzzo: “C’era stata un incredibile rimonta e la squadra arrivò stanca, anche se fermarsi sul traguardo fu terribile. Di delusioni e ingiustizie ne ho vissute. Lo scudetto che ci fu tolto nel 1981 col famoso gol di Turone, e in Nazionale Bearzot mi negò almeno due Mondiali. Già nel 1978 ero forte e restai fuori, poi nel 1982, per tenere tranquillo Rossi al ritorno dal calcioscommesse, portò Selvaggi che era meno scomodo di me, che ero il capocannoniere. Lo stesso avvenne nel 1986 con Galderisi, quando segnavo anche bendato”.
Dal gol di Turone a Viola e Liedholm
Ecco appunto, il gol di Turone, citato dallo stesso Pruzzo e chiarito una volta per tutte: “E me lo chiede se era buono… certo che lo era. Non c’era bisogno del VAR. Misi io di testa il pallone in mezzo per l’arrivo di Ramon che veniva da dietro e segnò. Era valido, quanto lo rivedo mi inc***o”. Oltre a questo poi, era decisamente impossibile non ripercorrere la finale di Coppa Campioni Roma-Liverpool, dolorosa per lui e per tutto il popolo giallorosso.
“La coppa persa in casa ari rigori è una ferita che ancora sanguina dopo 40 anni. Io segnai l’1-1 nel primo tempo e poi uscì al 63′. Problema di stomaco? Ma quale dissenteria, presi un calcio nelle pa**e, da sotto con la punta dello scarpino. Già correvo poco, dopo quel colpo non riuscivo più a muovermi. Ai rigori io ero fuori, Cerezo uscì per crampi, Maldera era squalificato, Falcao non se la sentì e sbagliarono Conti e Graziani”.
Begli anche gli aneddoti riguardanti Viola e Liedholm: “Il presidente vedeva più lontano di tutti, costruì la Roma tassello dopo tassello. Mi voleva bene, dopo le trasferte tornavo spesso con lui e mi chiedeva ‘Come è andato l’arbitro?’, ed anche se non era successo niente io rispondevo ‘Una me**a presidente, quelli ci massacrano sempre’. Liedholm era un genio, sapeva scegliere gli uomini, dava serenità e ti faceva credere di essere più forte di quello che eri. Un giorno mi sbagliai e indossai il suo cappotto che era uguale al mio, nelle tasche c’erano corni e amuleti contro la jella”.