“Roma è de tutti, de chi c’è nato e de chi ce viene“. Così recita un famoso brano di Luca Barbarossa, un inno che celebra l’accoglienza della Capitale e le sue innumerevoli contraddizioni. E chi qui ci è nato, come Claudio Ranieri, sa bene che tipo di legame può nascere con questa città dalle mille sfumature.Un legame viscerale, che penetra fin dentro l’anima, che divora e accarezza al tempo stesso, che percuote e consola chi ha la fortuna – o la sfortuna secondo molti, poveri loro – di viverlo almeno una volta nella vita.
Se è vero come dice la canzone che Roma è anche di chi ci arriva, seppur da estraneo per la prima volta, il successore di Sir Claudio Ranieri avrà di certo un compito estremamente difficile per far diventare veramente sua la città.
Non solo perché dovrà succedere ad uno dei giganti della storia romanista, ma perché dovrà anche farsi voler bene da una piazza esigente, rimasta scottata dalla stagione appena terminata, ma sempre pronta a ricoprire di amore chi dimostra di meritarlo. Amore che, elargito negli anni senza remore, ha sostenuto e incoraggiato squadra e allenatori, trasformandosi in luce anche quando l’oscurità calava minacciosa su Trigoria.
All’erede dell’eterno tecnico di Testaccio basterà rivolgere uno sguardo alla recente storia giallorossa per capire come chi ha voluto il bene della piazza, della squadra e dei suoi meravigliosi tifosi, sia stato ripagato col sentimento più nobile che l’uomo abbia mai sperimentato.
Pochi, ma buoni: i trionfi che Roma non dimentica
Sono pochi – ahinoi -i tecnici romanisti del passato che hanno percepito e provato quel tipo di sentimento e di affetto sulla propria pelle. Andando a ritroso nel tempo fino agli inizi del secondo millennio, tra gli allenatori che nella capitale hanno lasciato un segno indelebile, grazie anche ai trofei vinti – e non potrebbe essere altrimenti vista la penuria della bacheca giallorossa – c’è sicuramente Fabio Capello. Arrivato per prendere il posto del tecnico boemo Zdenek Zeman nel 1999, in giallorosso Don Fabio vive cinque stagioni esaltanti, coronate da un terzo storico scudetto e da una Supercoppa Italiana.
Ma l’amore purtroppo, anche quando è forte e sembra poter durare in eterno, ha una data di scadenza. E per il tecnico friulano la parola fine arriva nella stagione 2003-2004, al termine della quale si accorda con la Juventus. Per i romanisti è il peggiore dei tradimenti. Ma per fortuna a Roma la massima secondo cui “morto un papa se ne fa n’artro“, trova sempre un riscontro favorevole.
Nel 2005, infatti, a rianimare la sponda giallorossa del Tevere, arriva Luciano Spalletti. Nato a Certaldo nel 1959, l’attuale ct della Nazionale Italiana, sbarca nella capitale dopo la sorprendente esperienza all’Udinese, avvolto però – bisogna riconoscerlo – da un velo di scetticismo, presto strappato dagli straordinari risultati ottenuti: due Coppe Italia, una Supercoppa Italiana e una costante lotta al vertice contro lo strapotere delle squadre del Nord. La sua Roma, brillante, coraggiosa, competitiva e generosa, proprio come il suo tecnico, ruba il cuore a tutti i tifosi giallorossi, che la ricordano ancora oggi con nostalgia.
Terzo allenatore, non per ordine di importanza, ma solo dal punto di vista cronologico, che ha intrecciato per sempre la sua vita a quella di Roma e della Roma è Josè Mourinho, l’uomo che ha riportato quel senso di famiglia e di unione che alla squadra giallorossa e alla sua tifoseria mancavano da troppo tempo. Nei due anni con il portoghese in panchina la Roma conquista la sua prima Uefa Conference League e disputa due finali europee consecutive. Non proprio una consuetudine dalle parti di Trigoria.
Vincere NON è l’unica cosa che conta
Vincere, però, – storpiando il motto di una società che ci è simpatica al contrario – non è l’unica cosa che conta. Almeno a Roma. Perché certe emozioni, certi riconoscimenti, sono stati giustamente tributati anche a tecnici che non hanno alzato nemmeno un trofeo. Lo sanno bene Rudi Garcia ed Eusebio Di Francesco. Il tecnico francese, arrivato nel 2013 per riportare la chiesa al centro del villaggio dopo la fallimentare stagione del secondo, tragico, Zeman, in due anni e mezzo plasma una Roma sfavillante e grintosa, seconda solo alla Juventus di Antonio Conte. Ancora oggi il tecnico di Nemours non perde occasione per rimarcare come il suo affetto nei confronti di Roma non sia mai venuto meno nel tempo.
Stesso discorso per Di Francesco, prima calciatore e poi allenatore dei giallorossi dal 2017 al 2019. Anche in questo caso nessuna coppa baciata e alzata al cielo, ma un’emozione, quella della semifinale di Champions League ottenuta con una spettacolare rimonta ai danni del Barcellona di Messi, che ancora oggi si racconta ai bambini piccoli per dire loro che si, il romanismo è anche questo, sperare che l’impossibile diventi possibile.
E, infine, l’ultimo nome che tutti i tifosi romanisti portano con cura nel proprio cuore, custodendolo gelosamente, è quello di Claudio Ranieri, l’allenatore che più di tutti ha segnato gli ultimi 15 anni della Roma. Arrivato sulla tanto desiderata panchina giallorossa ad inizio della stagione 2009-2010, in seguito alle dimissioni di Spalletti, Sir Claudio si misura fino all’ultima giornata contro la formidabile Inter di Mourinho, arrivando a sfiorare, dopo una strepitosa rimonta, quello che sarebbe stato un quarto, eclatante, scudetto. Richiamato di nuovo nel 2019 per sostituire Eusebio Di Francesco, il testaccino non riesce nell’impresa – disperata viste le condizioni della rosa romanista – di riportare la squadra in Champions League.
Sembrava quella la fine, forse un po’ anonima, della storia tra la Roma e uno dei suoi figli prediletti. E invece no. Perché il destino, che a quanto pare non ha in serbo solo tiri mancini, nel novembre 2024 riporta Ranieri a casa, regalandogli l’opportunità di chiudere la carriera nella sua città, tra la sua gente, tra i colori della sua vita, quegli stessi colori che in occasione della sua ultima partita all’Olimpico contro il Milan hanno illuminato il suo nome in Curva Sud.
Il quinto posto in classifica, valido per la qualificazione alla prossima Europa League, maturato dopo aver raccolto una squadra in caduta libera verso la zona retrocessione, è l’ultima gemma da incastonare ad una carriera brillante, impreziosita dall’amore che Roma, i romani e i romanisti gli hanno rivolto e dedicato in 15 anni di rapporto, molti dei quali vissuti a distanza. Un amore che Claudio Ranieri non potrà mai dimenticare.
Terminato ormai il campionato e dismessi gli abiti da Mister, Ranieri è entrato a far parte della nuova dirigenza giallorossa, con il prestigioso ruolo di consigliere – o senior advisor come direbbero quelli bravi – del Presidente Friedkin. I suoi suggerimenti, sicuramente preziosi per il patron americano, saranno di vitale importanza anche per il nuovo allenatore, che potrà avvalersi del supporto leale e corretto di un romanista vero.
E quando Claudio riuscirà – perché di questo ne siamo tutti convinti – a far capire al nuovo tecnico che “Roma è ‘na madre che co’ ‘no sguardo già te capisce, si sei sincero col core in pace, non te tradisce” – per citare nuovamente il testo di Barbarossa – allora potremo dormire sonni tranquilli, perché sapremo che la Roma è finalmente tornata nelle mani giuste.