La 9 di Dovbyk e il peso dei simboli: tra leggenda, cinema e consacrazione

Come nel film con De Niro e Snipes, anche per Dovbyk il numero può fare la differenza: la 9 è più di una maglia, è identità, riscatto, sfida

Emanuele De Scisciolo
Emanuele De Scisciolo - Direttore Responsabile
5 min di lettura

Ci sono momenti in cui un gesto all’apparenza semplice, quasi banale, cela in realtà un intero universo di significati. Come cambiare numero di maglia. Una scelta che per molti è solo un dettaglio anagrafico, per altri diventa identità, dichiarazione d’intenti, rito di passaggio. Artem Dovbyk, alla vigilia della sua seconda stagione alla Roma, ha lasciato la numero 11 per prendere la 9. E non è una scelta casuale, né tecnica, né estetica. È una presa di posizione. È una richiesta di rispetto. È – forse – l’inizio di una rinascita.

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Come nel baseball, anche nel calcio la maglia è anima

Nel 1996, Tony Scott firmava The Fan, uno dei film più disturbanti e affascinanti mai girati sul mondo dello sport. Wesley Snipes interpreta Bobby Rayburn, stella del baseball in crisi. Ha perso la forma, ha perso la fiducia, ma soprattutto ha perso il suo numero. Il 33. Quel numero che per lui era tutto: memoria, scaramanzia, potere. E finché quella maglia non gli verrà restituita – in circostanze drammatiche, persino tragiche – non riuscirà a tornare il campione che il pubblico si aspettava. Il numero come chiave del riscatto.

Scena del film The Fan – Il mito con Robert De Niro e Wesley Snipes a confronto sul campo da baseball
Robert De Niro e Wesley Snipes nel cult sportivo “The Fan – Il mito”: il numero sulla maglia come ossessione e identità

Ecco perché non va sottovalutata la decisione di Dovbyk di indossare la 9, liberata dall’addio di Abraham, per provare a ritrovare se stesso. Quella stessa 9 che lo aveva accompagnato nel suo anno migliore, quando al Girona segnò 24 gol in Liga diventando Pichichi davanti a campioni affermati. La stessa 9 che ora torna a portare sulle spalle, con il peso della tradizione e della speranza. Una 9 che alla Roma evoca nomi, aspettative, responsabilità.

Il progetto Gasp e la necessità di diventare icona

Gasperini lo studierà da vicino. Lo plasmerà. Gli parlerà con la voce ruvida e tagliente che solo chi ha conosciuto il lavoro vero può avere. E proverà a fare con lui quello che ha già fatto con altri: trasformare giocatori forti in attaccanti devastanti. Zapata, Muriel, Ilicic, De Keteleare, Gomez, Retegui: ognuno di loro ha vissuto una metamorfosi sotto la guida del tecnico piemontese, da buoni interpreti a protagonisti assoluti. Non è magia. È metodo. È psicologia. È capacità di far coincidere talento e sistema.

Nel primo anno alla Roma, Dovbyk ha segnato 17 gol e fornito 4 assist. Numeri buoni, ma che non raccontano tutto. Non dicono quanto sia stato a tratti fuori dal gioco, quanto abbia sofferto le grandi partite, quanto abbia faticato a imporsi come riferimento offensivo. La verità è che ha vissuto una stagione in chiaroscuro, tra l’eco di un prezzo elevato e l’assenza di un progetto tattico stabile. Tre allenatori, zero certezze. Ora però è diverso. C’è un’idea. C’è un sistema. E c’è una maglia che parla. Una maglia che, per chi gioca in attacco, non è un numero qualunque: è l’architrave della fiducia, la dichiarazione di appartenenza al centro del mondo.

Il numero come detonatore emotivo

Nel calcio moderno, tutto sembra ridursi a dati, KPI, algoritmi. Ma ci sono ancora – e meno male – spazi per le emozioni. Per il simbolo. Per quel dettaglio che sposta. Per quella maglia che quando la indossi ti cambia postura, ti cambia animo, ti cambia sguardo. La 9 non è solo un numero, è una responsabilità emotiva. E per Dovbyk può diventare lo stimolo decisivo per alzare l’asticella, ritrovare la fame, scrollarsi di dosso la timidezza, incarnare finalmente l’attaccante che questa Roma sogna di avere al centro del suo attacco.

Nel film, Snipes tornava a segnare quando riotteneva il suo 33. Qui, nessuno è morto per restituire a Dovbyk la sua 9. Ma qualcosa è rinato. Un’idea. Una sfida. Una speranza. E magari – come accade a volte solo nel calcio e nel cinema – basterà quella cifra sulla schiena per accendere tutto il resto.

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Giornalista, fondatore e direttore responsabile di SoloLaRoma.it. Da sempre racconto la Roma con passione, rigore e uno sguardo critico ma costruttivo. Credo in un’informazione indipendente, fatta da chi vive la squadra giorno per giorno, e dedicata a chi della Roma ha fatto una fede.
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