Roma, lunedì 20 maggio. Ci si sveglia con il sole, il profumo di cornetto e una notifica sul telefono che esplode il cuore: Klopp. Alla Roma. Scritto proprio così, senza punti interrogativi. Un attimo di silenzio. Poi il cervello comincia a partorire immagini. Jurgen con la sciarpa giallorossa. Jurgen che sorride a Trigoria. Jurgen che abbraccia De Rossi sotto la Sud. Jurgen che vince lo scudetto mentre urla: “Daje Roma!”
Un sogno? Certo. Ma che sogno, ragazzi.
Poi, inevitabile, la botta. L’AS Roma smentisce tutto. Comunicato rapido, chirurgico, privo di poesia. Klopp? “Notizia priva di fondamento”. Sveglia. Doccia fredda. Tutti giù dal carro immaginario del gegenpressing all’Olimpico. Finita prima ancora di cominciare. Eppure… Eppure era bello. E in fondo, è ancora bello.
Perché a Roma funziona così: noi ci innamoriamo pure delle voci, delle suggestioni, degli “e se”. Siamo quelli che hanno sognato Guardiola, Mbappé, Messi in prestito a gennaio. Quelli che dopo un 2-0 alla Salernitana fanno il calcolo per arrivare quarti e quelli che dopo una sconfitta al 93’ contro il Monza mettono in discussione pure la legge di gravità.
Ma stavolta era diverso. Stavolta era Klopp.
Quello vero, non un sosia di Guidonia. Quello che ha fatto piangere il Barcellona, che ha portato il Liverpool in paradiso, che ha messo a ferro e fuoco l’Europa con il suo calcio rock. Un uomo che sembra nato per allenare qui, dove tutto è passione, istinto, rabbia, cuore, lacrime. Klopp a Roma sarebbe stata una sceneggiatura di Sorrentino con musiche di Ennio Morricone. Invece, ci tocca aspettare – bocca mia taci – l’annuncio di uno col cognome impronunciabile e l’inglese scolastico. Ma oggi, per qualche ora, abbiamo osato sognare. E questo non ce lo leva nessuno.
Nel frattempo, mentre Klopp ci scivola tra le dita come un amore d’agosto, c’è un altro addio che merita rispetto. Anzi, amore vero. Mister Ranieri saluta il calcio. E, ovviamente, lo fa con la Roma nel cuore. Chiudere la carriera con la maglia che ami è roba da poeti, non da allenatori. Claudio se ne va, discreto come sempre, lasciando un vuoto che neanche Klopp – se davvero venisse – potrebbe colmare del tutto. Perché lui non era un sogno. Era casa.
Ora si chiude un’epoca. Un’altra. E chissà che la prossima non ci riservi davvero una sorpresa. Magari non sarà Jurgen. Ma per qualche ora lo è stato. E noi, che viviamo di emozioni, ce lo siamo goduti come si gode un tramonto a Testaccio: sapendo che dura poco, ma che vale la pena guardarlo fino alla fine. E allora sì, va bene così. Ma se domani arriva un’altra notifica con scritto “Klopp – contatti riaperti”, vi prego: non svegliatemi più.