Non sarà di certo stato un giocatore che ha rubato l’occhio per tecnica o giocate spettacolari, ma più un difensore roccioso, ordinato, di quelli che in rosa fanno sempre comodo. Nicola Legrottaglie è stato un fedelissimo del calcio italiano dei primi anni 2000, e dopo aver appeso gli scarpini al chiodo ha prima tentato la carriera di allenatore, con il Pescara unica prima squadra ad averlo “provato”, e poi di dirigente diventando, fino al giugno 2024, head of performance della Sampdoria, al fianco dell’ex compagno di squadra, e allora allenatore, Andrea Pirlo.
In un intervista al Corriere della Sera, ha anzitutto ripercorso il tema della fede, a lui molto caro: “Prego e leggo la Bibbia. Mi ci sono avvicinato quando sono andato in prestito al Siena e ho conosciuto il centravanti paraguaiano Tomas Guzman, mi ha avvicinato agli “Atleti di Cristo”. Lì ho capito che la fede non era un miraggio ma una concretezza. Siamo ciò che scegliamo e a volte le mie scelte mi hanno fatto sentire sporco. Dio ti ama e basta, ho chiesto scusa a molte persone e ho risolto certe situazioni, mi sono sentito perdonato”.
Si è ovviamente parlato molto di calcio, e Legrottaglie ha svelato anche un retroscena di mercato interessante: “Era l’estate del 2003 ed ero in vacanza al mare. Alla sera avevo l’accordo con la Roma di Sensi, ma la mattina seguente il Chievo lo trova con la Juventus. Mi chiama il mio procuratore e mi dice ‘Vieni subito a Torino’. Arrivo dalla spiaggia, entro in ufficio e trovo Moggi, Giraudo e Bettega, e l’ultimo mi dice ‘Da qui non te ne vai, firmiamo subito’. Poi direttamente dai giornalisti per la presentazione, senza il tempo di cambiarmi. Per quelle foto vengo ancora massacrato dopo 25 anni”.
Flop alla Juventus: “Soffrivo di pubalgia cronica”
La prima esperienza in un colosso come la Juventus non si rivela particolarmente vincente, ma il motivo è presto detto: “Nei primi tre mesi sono stato il migliore in campo, ma purtroppo soffrivo di pubalgia cronica. Aldo Esposito, massaggiatore della Nazionale italiana, mi disse subito ‘Non so quanti potrai andare avanti in queste condizioni’. A Torino giocavo tre volte a settimana, la pubalgia si infiammava e mi impediva di lavorare sulla forza. Non reggevo l’urto degli avversari ed ho cominciato a sbagliare, perdendo fiducia”.