Il Mondiale per club è entrato nel vivo. Dopo una settimana di gare, con gli ottavi di finale alle porte, un dato salta all’occhio più di tutti: l’approccio diametralmente opposto tra squadre europee e club sudamericani, in particolare quelle brasiliane.
I fatti parlano chiaro. Il Botafogo ha messo sotto il Paris Saint-Germain, fresco campione d’Europa. Il Flamengo ha domato con autorità il Chelsea, vincitore dell’ultima Conference League. Due risultati che non possono essere liquidati come sorprese. Analizziamo, dunque, le motivazioni di un atteggiamento completamente differente dei club nei confronti di questa competizione.
Mondiale per Club, un’occasione d’oro per il calcio sudamericano
Dal punto di vista economico e commerciale, per i club sudamericani questo torneo è una chance irripetibile. Ogni vittoria vale quasi 2 milioni di euro, l’accesso agli ottavi ne porta altri 7. E il trionfo finale? Ben 117 milioni di euro.
Una cifra mostruosa che, in tempi di bilanci precari, farebbe comodo anche a molte squadre europee. Eppure, da sola, non sembra sufficiente a scuotere l’approccio distratto e sperimentale di molti club del Vecchio Continente.
Ma c’è di più. Secondo Flashscore, la UEFA oggi vale dieci volte la CONMEBOL: 8,2 miliardi contro 809 milioni di euro. Un abisso. Riuscire a ribaltare, anche solo per 90 minuti, questi rapporti di forza ha un valore che va oltre il trofeo. È una sfida all’ordine costituito, un tentativo di rimettere il Sud del calcio al centro della scena. Un gesto simbolico, ma potentissimo.
L’Europa prende il Mondiale per Club sottogamba
Non va sottovalutata nemmeno la questione culturale. Le europee tendono a snobbare i team dell’America Meridionale, dimenticando che parliamo di club con una storia gloriosa, abituati a vincere, protagonisti fissi della Copa Libertadores – un torneo che, per intensità e importanza, non ha davvero nulla da invidiare alla Champions League.
Il Mondiale viene quasi vissuto come una tournée estiva dalle società europee: esperimenti tattici, rotazioni infinite, nuovi debutti. Al contrario, il futbol sudamericano sfrutta la competizione per mettersi in mostra. I club hanno fame, vogliono brillare, imporsi e – soprattutto – dimostrare la propria forza contro un calcio europeo che spesso li guarda dall’alto al basso. Uno stimolo che pesa, eccome.
Freschezza, intensità, fame: il gap fisico e mentale è evidente
Anche a livello fisico e mentale, il confronto è impari. Le squadre sudamericane sono nel mezzo del campionato, in pieno flusso competitivo. Hanno ritmo, intensità, brillantezza. Le gambe sono reattive, la testa è più libera e i meccanismi sono rodati.
Le europee, al contrario, sono arrivate stanche, spente, in parabola discendente a fine stagione, prosciugate da un calendario asfissiante. Il livello fisico è calato, quello mentale è vicino allo zero. Con gambe pesanti e motivazioni minime, il risultato non può essere che uno: si fa fatica.
Alla luce di tutto questo, non è affatto azzardato pensare che una tra le società sudamericane possa arrivare in finale. Anzi, è un’ipotesi sempre più concreta. Il campo lo sta dimostrando: il Sudamerica ci crede.