Diciannove risultati utili consecutivi non sono soltanto una statistica: sono la traccia visibile di un percorso, il segnale più evidente di una rinascita. La Roma ha ritrovato se stessa. E lo ha fatto grazie a un uomo che, ancora una volta, ha dimostrato che il calcio si può vincere anche senza alzare la voce, Claudio Ranieri.
Contro la Fiorentina è arrivata un’altra vittoria pesante. Decisa da Dovbyk all’ultimo respiro del primo tempo, sofferta fino all’ultimo secondo del recupero. Un successo che certifica la maturità di una squadra che ha imparato a non crollare quando le gambe tremano, a difendere un vantaggio quando le energie calano, a essere squadra anche senza brillare. E anche stavolta, fondamentale è stato Mile Svilar, capace di salvare tutto ciò che poteva essere salvato. Non è più solo una promessa, oggi è una assoluta garanzia.
Con questa vittoria, la Roma resta pienamente in corsa per un piazzamento europeo quando mancano soltanto tre giornate alla fine del campionato. Un traguardo che pochi avrebbero considerato realistico prima del ritorno di Ranieri. E proprio per questo, ogni parola oggi deve partire da lì. Dal senso profondo che Ranieri ha dato a questa squadra. Dall’ordine mentale che ha saputo ristabilire in uno spogliatoio smarrito. Dal legame ricucito con una tifoseria che ha scelto di seguire il suo appello e ha smesso di fischiare, tornando a sostenere. Lo aveva detto subito, senza pretese: “La squadra deve sentire il pubblico vicino, non contro.” I tifosi hanno risposto, e oggi sono parte integrante del processo.
Ma proprio adesso che la Roma sembra aver trovato un’identità, è impossibile non continuare a spremersi le meningi al pensiero così tanto deciso e intenzionale e che già sta iniziando a segnare il futuro: Ranieri non sarà l’allenatore della prossima stagione. Lo ha confermato lui stesso, a chi sperava in un ripensamento: “Dalla prossima stagione sarò solo in panchina ai giardinetti.” Un modo ironico e affettuoso per dire che la sua carriera – stavolta davvero – è arrivata al capolinea.
Ed è qui che si apre la vera questione. Ora che la Roma ha imparato a rialzarsi, chi sarà l’uomo giusto per accompagnarla nell’evoluzione di questo principio? Perché rialzarsi è il primo passo. Crescere è il successivo. Servirà un tecnico capace di raccogliere il testimone senza stravolgerlo, con la sensibilità di chi sa valorizzare un’identità ritrovata, senza improvvisazioni né rivoluzioni inutili. Ranieri lascia un’impronta chiara: una squadra che lotta, che tiene il campo, che rispetta ogni minuto. Lascia anche una città che ha imparato a riconoscere la forza del silenzio, la centralità del lavoro, il valore della dignità. Ora la Roma è una squadra vera. Il punto è: chi sarà in grado di renderla anche una squadra ambiziosa, stabile, proiettata in avanti?
Il campionato non è finito, e c’è ancora un obiettivo concreto da inseguire. Ma il conto alla rovescia è iniziato. L’addio di Ranieri non può lasciare indifferenti. Per tutto quello che rappresenta. Per come è arrivato. E soprattutto per quello che lascia in eredità. Il futuro è tutto da scrivere. Ma oggi, la Roma è molto più vicina a essere squadra. E il merito, questo sì, non si discute.